A cura della Fondazione Milano Policroma
Testo di Riccardo Tammaro
Nello scorso articolo abbiamo ripercorso la storia e l’aneddotica del Convento dei Frati Girolamini in Castellazzo; in questi due successivi analizzeremo quanto è rimasto ai nostri giorni di questa realtà quattrocentesca.
Iniziamo cercando di ricostruire le dimensioni e la posizione esatta degli edifici, aiutati da una cartina dell’8 febbraio 1757, completata per volere della “Giunta del Governo” (così è riportato sulla mappa) in quanto il borgo, che spesso ha cambiato comune di riferimento, doveva essere “disgregato dal Comune di Vigentino ed aggregato a Quintosole”.
Il borgo era costituito da un castello (il Castello di Azzo Visconti da cui appunto deriva il nome) e durante i lavori di scavo della via Virgilio Ferrari pare siano stati reperiti resti di antichissime mura, per cui è probabile che il castello si trovasse da quelle parti. Dallo stesso castello sarebbe stata ricavata la parte di monastero, orientato a 45 gradi rispetto al’asse orizzontale, e costituito da un chiostro quadrato su cui si affacciavano la chiesa sul lato nord-est e gli ambienti destinati alla vita comunitaria sul lati sud-ovest e sud-est; il quarto lato era costituito solo da un muro di recinzione.
Meno di cento metri più ad est del complesso, distesa lungo il Cavo Ticinello, già esistente nel dodicesimo secolo, sorgeva la foresteria del monastero, chiamata anche Cascina Castellazzo, tuttora visibile, che nella metà meridionale ospita un ristorante e nella metà settentrionale ospita una abitazione privata. Mentre in quest’ultima una sciagurata ristrutturazione ha fatto perdere tutti gli elementi tardo-medievali ivi presenti, la metà adibita a ristorante è stata riportata alle origini dall’ultimo proprietario: Ciò è avvenuto sia levando dalla facciata un ingresso posticcio, sia intervenendo all’interno con il recupero dell’esistente, per cui sono ancora visibili i muri in mattoni a vista, i pavimenti in pietra e i soffitti in legno, nonchè una scaletta quattrocentesca molto particolare, che conduceva dal piano terra, che ospitava le stalle, al piano superiore, dove abitavano i salariati che lavoravano sia nelle stalle che per fornire i servizi comuni (ad esempio il fabbro); infine, in quella che doveva essere la corte della cascina si trova ora un piacevole giardino con notevoli alberature plurisecolari.
Al di là della via Campazzino si nota una graziosa costruzione, che è il risultato della ristrutturazione della Cascina Giostra, antica e risalente al 1755, di cui purtroppo sono andate perdute le caratteristiche originarie, essendo stata completamente demolita e ricostruita nel 2004.
Il borgo di Castellazzo si estendeva su entrambe le rive del Cavo Ticinello, su cui si trova, circa un centinaio di metri a monte, una chiusa usata per secoli per l’irrigazione dei campi circostanti e chiusa negli ultimi anni all’atto della costruzione di via Ferrari.
Non resta invece traccia della “cassina de Bechafico”, posseduta da Donato Ferrario nel XV secolo, e costituita da un’area edificata dotata di spazi circostanti costituiti da corte, aia ed orto, oltre ad un forno (prestinus panis albis di Castellazzo) affittato a Donato de Landriano per un canone annuo che risulta pagato almeno fino al 1412, secondo le carte del Notaio Onrighino da Sartirana; si sa poi che in seguito anche la cascina Castellazzo ospitò un forno.
Castellazzo tuttavia significò per il Ferrario soprattutto prati, per un’estensione di circa 60 ettari, che venivano concessi “ad fictum” a varie persone; tra di loro, si fa notare il camerario ducale Alchirolo della Croce, cui nel 1404 il duca di Milano aveva donato l’ufficio delle bollette del dazio della mercanzia della citta di Milano; per quanto riguarda gli altri fittavoli, prevalgono cognomi indicanti una provenienza dal bergamasco (quali de Taegio o de Gandino), il che indicherebbe si trattasse di allevatori che si servivano dei prati per far pascolare bestiame tenuto per lo più per conto di altri.
Nel prossimo articolo ci occuperemo della parte del borgo che sorge ad est del Cavo Ticinello e del ponticello quattrocentesco che congiunge le due rive del corso d’acqua in un’atmosfera bucolica.